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Una fine annunciata

UNA FINE ANNUNCIATA

(scritto in treno su quattro fazzoletti di carta)

Per gli altri, la società omologata, non sono riuscito a fare un cazzo in questa vita, sono solo immondizia e ormai ho un’età, per cui le persone mi chiamano fallito.

Non sono mai riuscito ad amare una donna, ma in passato credevo che potesse accadere, mi sono sbagliato, sono troppo concentrato su me stesso. Ho scopato molte donne e dopo l’orgasmo non ho mai voluto che rimanessero. Ho sempre preferito svegliarmi da solo senza rotture. A me piace fare colazione col  rum e ruttare prima di accendermi la prima sigaretta. Inoltre, mi lavo poco e quasi sempre mi addormento con gli stessi abiti con cui vado a lavoro. Odio la gente che mi dice cosa è giusto o sbagliato fare, tutti pensano che ci sia qualcosa che non vada in me.

La mia vita mi piace, riesco a racimolare abbastanza soldi raccogliendo per strada cartoni abbandonati e rivendendoli. Posso permettermi alcol, sigarette e di pagare l’affitto di un monolocale seminterrato in cui vivo da diversi anni. Non è molto, ma io non cerco di più, altrimenti farei qualcos’altro. La massa crede che io sia infelice perché i loro desideri non sono anche i miei. La massa desidera ciò che il sistema gli fa credere di desiderare, in realtà non conosce i propri desideri.

Nella vita ho provato a confrontarmi, a spiegare che non me ne fotte un cazzo di possedere una bella auto, avere un appartamento ben arredato all’ultimo piano di un palazzo al centro, ma non mi hanno creduto e li ho mandati affanculo disprezzando la loro cecità. Sono rimasto solo senza amici. Ubriaconi e puttane sono le mie uniche conoscenze.

Ieri ho finito di scrivere il mio primo e ultimo romanzo, si intitola Una fine annunciata. Ho raggiunto l’obiettivo per cui sono nato, ora posso anche morire e ho progettato il mio suicidio. Ho pensato di impiccarmi nel parco. Ho comprato una corda resistente e ho studiato come fare il nodo che mi stringerà la gola e poi spezzerà il collo. Il momento è vicino, agirò questa notte, è tutto pianificato. Ho già scritto una lettera di addio al mondo, ho spiegato che la fine del mio romanzo coincide con il termine della mia vita, che ho provato a non scrivere la fine, ma che si è manifestata e non ho potuto evitarla. Il mio romanzo parla di uno scrittore che si suicida dopo aver concluso di scrivere il proprio libro, non posso deludere i lettori.

Sono le tre del mattino, ho bevuto due bottiglie di whisky scadente e rischio il coma etilico, mi appresto a raggiungere il parco prima che la morte mi sorprenda diversamente da come l’ho pensata. Apro lo sgabello, lego la fune a un ramo, infilo il collo nel cerchio, mi lascio andare, il cerchio si stringe.

L’aria è ferma, c’è un silenzio rotto improvvisamente dalle urla di una donna che si avvicina correndo. La stronza mi solleva, evita che la corda mi soffochi, mi condanna alla vita sfilando la corda dal ramo e facendomi battere pesantemente sul suolo. La osservo incredulo, la sua bellezza è disarmante, considero il fatto di poter trascorrere la mia vita insieme a lei. Un attimo è bastato per farmi capire chi fosse per me. Avevo ragione nel pensare che prima o poi sarebbe accaduto di incontrare qualcuna che avrei desiderato si svegliasse con me, nel mio stesso letto, nel nostro letto. Le racconto la mia storia, lei ride e mi guarda negli occhi incredula. Vorrei che non andasse via. La invito a bere una birra la sera stessa e lei accetta prima di scappare a lavoro. Si allontana correndo, si volta per salutarmi ancora una volta, inciampa, casca, batte la testa su un masso, il cranio si apre. Il suo cervello è fatto di pacchi imballati che contengono ricordi e il futuro immaginato. Pacchi con fiocchi rossi, legati alla scatola con una fiamma ossidrica che acceca il presente.

Sono le otto del mattino, un gruppo di bambini con le cartelle sulle spalle la vedono e si avvicinano. Felici, raccolgono i pacchi dal suo cranio con mani piccole e ingenue, poi si allontanano immaginando il contenuto. I bambini non vedono una donna morta, ma regali per loro. Loro ridono, mentre io lego nuovamente la corda al ramo.

 

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